Riceviamo questa riflessione della scrittrice Valeria Parrella sullo spettacolo Desurrezione e volentieri pubblichiamo.
«Una prova in cui era difficile cimentarsi. ma spesso, in arte, quando si ingaggia un corpo a corpo con le cose difficili, la vittoria è molto più evidente. Così, di vittoria e di corpi, parla Desurrezione spettacolo brevissimo, fulminante, denso, di Alessandra Cutolo, con Alessandra D’Elia, Carmine Paternoster, Daniela Piperno, Salvatore Striano, produzione del Teatro Stabile di Napoli e il Teatro Coop. Produzioni.
La sfida era proprio quella che Beckett da sempre propone: come l’irrigidimento, la staticità del corpo possa palesare il pensiero, sia da tramite verso l’idea. Cutolo rende quella che dovrebbe essere dicotomia ed è, invece, unica possibilità di espressione, intendere corpo e parola come un sinolo, come di forma e sostanza aristotelicamente veduti, coprendo di splendida vernice intellettuale i suoi attori (si badi: di intelletto, non di intellettualismo). Abbandonando le figure maschili a una tragica immobilità, o a doversi contorcere per trovare sollievo a istintive, “basse” necessità del corpo, e regalando alle protagoniste donne la possibilità dell’analisi. Si fanno così donne e tramite, spettatrici e attrici, la magnifica Daniela Piperno, con quel suo milanese lento, strisciato, indagatore, eppure già arreso alla soluzione: che soluzione non c’è. E la D’Elia, performativa nella voce dolcissima e calda e nel corpo sinuoso e aereo, più accomodante.
Compagnia non si può che raccontare così: come una compagnia mancata, come un frammento continuo, giacché se si rappresentasse come una sequenza coesa allora essa riuscirebbe in compagnia vera, sarebbe gita scolastica. Invece è l’orrore profondo della solitudine, nell’allestimento della Cutolo scandito da buii che paiono ciascuno l’ultimo e intervallano una serie di luci, che restano l’unico spazio possibile dell’azione.
Ma più di tutto, Beckett, si sente nella capacità rara di attori e regia di renderne tutti i registri. Per cui con switch-code rapidissimi ci si rassegna, e si ride, ci si indigna e si prendon le distanze. Unica pecca: il titolo, che non ha potuto essere quello originale per motivi di diritto d’autore. Ma quello umano, di diritto, è perfettamente recuperato».